Gli sviluppi

Il kamishibai  si sviluppò in Giappone, nel periodo tra le due guerre mondiali, grazie alla combinazione di tre fattori: la diffusione dell’uso della bicicletta, la crisi economica che colpì il paese tra gli anni Venti e Trenta e l’avvento del cinema sonoro. I primi artisti del kamishibai, infatti, erano per la maggior parte narratori benshi, una disciplina che consisteva nel commentare, con buona intensità drammaturgica, i film muti di allora. Lentamente l’avvento del sonoro fece restare senza lavoro migliaia di benshi, che iniziarono l’attività di narrazione in strada: si stima che nella sola Tokyo vi fossero almeno 3.000 kamishibaiya (cantastorie kamishibai), e oltre 30.000 in tutto il Giappone.

In quel periodo, quindi, non era raro che una figura in sella a una bicicletta equipaggiata con un portapacchi contenente il teatro in legno (butai), le tavole illustrate e dei dolciumi da vendere, manifestasse la sua presenza per strada battendo due bastoni di legno solitamente legati da una corda (hyōshigi, 拍子木). I bambini della zona accorrevano per comprare dolciumi e ascoltare le storie narrate dal kamishibaiya, che solitamente erano di tre tipologie: un racconto buffo per i più piccoli, una storia d’amore per le ragazze e una di sapore avventuroso per i ragazzi, in modo da accontentare proprio tutti!

Bambini giapponesi davanti a un kamishibaiya (1950)

Un Gaito kamishibaiya giapponese (foto Aki Sato via Flickr, licenza: CC BY-SA 2.0)

Le storie duravano circa 10-12 tavole e non erano mai autoconclusive, anzi quando la storia arrivava al momento di maggiore suspense veniva interrotta dal narratore, che avrebbe svelato il proseguio del racconto solo il giorno dopo. Si pensi che ci sono state storie che sono durate per anni: un po’ come le serie tv di oggi!

Non si deve, però, pensare che i kamishibaiya fossero artisti autonomi e indipendenti, in grado di scrivere e illustrare le storie, procurarsi i materiali da rappresentare e in qualche modo essere imprenditori di sé stessi: il kamishibai alimentava invece una considerevole mole di lavoro da parte di migliaia di persone, e il cantastorie di strada era solo l’ ultimo ingranaggio di un meccanismo alquanto complesso. Per prima cosa le biciclette, munite di tutto il materiale necessario per la narrazione, venivano affittate all’artista dal kashimoto, una specie di “impresario” al quale il kamishibaiya doveva per forza riferirsi. Era lui, infatti, che comprava le storie dagli scrittori e le affidava ai propri disegnatori per preparare i tabelloni, ed era lui che forniva agli artisti i dolciumi da vendere. Gli accordi tra i vari kashimoto di città adiacenti consentivano tra l’altro di far girare le storie tra i vari artisti, onde permettere ai narratori che battevano più o meno sempre le stesse zone di avere un continuo rifornimento di storie nuove.

I kashimoto erano i primi garanti della qualità dello spettacolo: essi sapevano bene che i genitori compravano i dolciumi più volentieri se le storie erano narrate bene, munite di bei disegni e sempre diverse. Il guadagno, in effetti, era certamente determinato dalla qualità delle storie, ma soprattutto dall’abilità del narratore di vendere bene prima dello spettacolo: i bimbi che compravano avevano diritto a stare davanti, chi non comprava nulla doveva accontentarsi di seguire da lontano.

L’entrata in guerra del Giappone nel 1941 dà la prima spallata al kamishibai: molti artisti erano partiti per il fronte e la crisi bellica non faceva guadagnare molto ai pochi rimasti.

Negli anni Cinquanta, l’avvento della TV fece affossare quasi definitivamente la tradizione del kamishibai di strada (ma il kamishibai era così popolare che il primo nome dato alla Televisione fu denki kamishibai, ovvero kamishibai elettrico…).

Sebbene la presenza del kamishibai sia diminuita, sia come arte per le esibizioni di strada che nelle aule delle scuole pubbliche in Giappone, essa ha fatto progressi in altre aree dopo la guerra. Nel 1952, attraverso gli sforzi di Kako Satoshi e Takahashi Gozan, tra gli altri, kamishibai fu definito Tesoro culturale per bambini (Jidō bunkazai), e il suo uso negli asili e nelle scuole dell’infanzia rifiorì come mai prima.

 

Fonte: AKI Associazione Kamishibai Italia, clicca qui. Ultima consultazione: 03/5/2020.

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